Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013

Televisione

Verso la fine del monopolio di Sky e del suo decoder blindato

"Tivù". La nuova televisione o la vecchia anomalia?

Forse il 31 luglio 2009 potrebbe essere ricordato come il primo giorno della TV "libera" in Italia.  Forse. Perché il "duomonopolio" non morirà facilmente. Si difende anche con i costi e le complicazioni di tre decoder, di cui due inutili. 

27 luglio 2009                                            Pagina per la stampa

Lo slogan che accompagna il logo Tivù Sat dice "Libertà di visione". Ma ufficialmente la piattaforma - gratuita - viene presentata come tappabuchi, la soluzione per far vedere i canali del digitale terrestre anche a chi risiede nelle zone d'ombra del segnale. Uno strano understatement. Di fatto, se saranno mantenute le promesse, Tivù Sat offrirà anche alle piccole emittenti la visibilità su tutto il territorio nazionale, a un costo molto basso: ventimila euro l'anno. Spiccioli, di fronte ai costi di gestione di una rete di trasmettitori terrestri.
Tuttavia il lancio di Tivù Sat è accompagnato da molte critiche: nuovi costi per gli utenti, altri vantaggi per Mediaset, violazione delle normative antitrust e via protestando. Cerchiamo di capire gli aspetti positivi e quelli problematici della nuova piattaforma.

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I soci di Tivù sono Rai e Mediaset, con il 48,25% ciascuno, con una piccola partecipazione di Telecom Italia Media (La7) al 3,5%. Sullo sfondo, non dichiarati, ci sono l'attacco al monopolio di Sky nella TV via satellite e la competizione tra Berlusconi e Murdoch per il mercato in crescita della TV a pagamento. E non solo, visto l'evidente interesse dell'attuale monopolista del satellite verso la Tv "generalista".

Che cos'è Tivù Sat? E' una "piattaforma", cioè un insieme di servizi che facilitano il rapporto tra le emittenti e gli utenti. In sostanza è un aggregatore di contenuti, che permette ai fornitori di raggiungere più facilmente un pubblico disorientato tra migliaia di canali trasmessi, senza alcun criterio di selezione, da una moltitudine di satelliti. Per esempio, i programmi di Rai e Mediaset trasmessi in chiaro via satellite sono ricevibili da chiunque abbia un ricevitore e una parabola orientata nella direzione opportuna. Ma sono confusi in un'offerta sterminata. La piattaforma Sky li mette ai primi posti, così gli utenti li trovano subito. Lo stesso farà Tivù Sat, ma con una differenza: mentre la lista dei canali di Sky è bloccata, ciascun utente di Tivù Sat potrà decidere l'ordine dei propri "preferiti".

Tra i servizi forniti dalla piattaforma c'è il "criptaggio" delle trasmissioni  per le quali le emittenti non hanno i diritti per la trasmissione al di fuori del territorio italiano. Questo è il motivo per il quale su Sky spesso sono oscurati programmi normalmente ricevibili dalle antenne terrestri: il satellite trasmette oltre i confini nazionali. Ed è anche il motivo per cui sarà necessario "attivare" la smart card di Tivù, in modo che l'operatore possa abilitare alla ricezione solo chi risiede sul territorio nazionale.

A questo punto sorge una domanda. Anzi, un "tormentone": Rai e Mediaset "scenderanno" dalla piattaforma Sky? Per inquadrare la questione è necessario distinguere tre situazioni diverse.
a) Rai. I programmi in chiaro del servizio pubblico sono trasmessi anche via satellite e accessibili a chiunque. Lo impongono il contratto del servizio e le normative europee sulla "neutralità tecnologica". Se Rai Uno, Rai Due e Rai Tre sono ai primi posti di Sky, è perché a Sky conviene. Almeno formalmente è una scelta autonoma dell'operatore satellitare.
b) Mediaset. Lo stesso discorso vale per i canali in chiaro di RTI. Che però, come editore privato, non è obbligato a trasmettere su tutte le piattaforme. Quindi usa il satellite solo perché gli conviene. I canali a pagamento di Mediaset non sono su Sky.
c) RaiSat. I canali a pagamento Rai, ora visibili solo agli abbonati di Sky, non fanno parte del servizio pubblico (e non sono finanziati dal canone): sono prodotti da RaiSat, società controllata dalla Rai. La loro presenza sulla piattaforma Sky è frutto di un contratto tra i due operatori, che nei prossimi giorni dovrà essere rinnovato o disdetto. La scadenza è il 31 luglio. Forse non per caso è la data scelta per la partenza di Tivù Sat.

Chiarita in questo modo la situazione, gli interrogativi restano. Sky cancellerà dalla piattaforma l'offerta gratuita Rai-Mediaset? Da una parte toglierebbe ai concorrenti una parte del pubblico. Ma dall'altra faciliterebbe la più rapida diffusione della piattaforma concorrente. Potrebbe anche spostare i sei canali in una posizione meno favorevole della sua lista bloccata, mettendo ai primi posti i propri, perché le società di Rupert Murdoch producono anche contenuti.

Per i canali RaiSat si deve considerare che la società incassa un bel po' di soldi da Sky per la presenza sulla piattaforma. Ma gli utenti mugugnano all'idea che, per vedere programmi Rai, devono pagare Sky. E non hanno tutti i torti. A un padre di famiglia poco importa se i canali RaiSat sono prodotti da una società che non è finanziata dal canone: di mamma Rai, per gli italiani, ce n'è una sola.

Alla fine dei conti, RaiSat potrebbe continuare con i canali a pagamento su Sky, o passarli  sulla piattaforma Tivù, sempre a pagamento. Ma Tivù nasce come piattaforma gratuita... In ogni case non va trascurata la circostanza che, se scendono adesso da Sky, i canali RaiSat spariscono, non li vede più nessuno. Potrebbero andare a pagamento sul digitale terrestre e da là su Tivù? Il problema è che la piattaforma satellitare alternativa per adesso è solo un annuncio. E i tempi della sua diffusione sono imprevedibili.

A questo punto si pone la domanda cruciale: quali sono le reali prospettive di diffusione della nuova piattaforma, in un contesto che vede qualcosa come sei milioni di decoder Sky già nelle famiglie italiane? Quanti sono disposti ad acquistare un secondo decoder?

Alla base del problema c'è la politica anticoncorrenziale di Murdoch. Il decoder di Sky non può ricevere i canali di Tivù Sat e i canali di Sky si possono ricevere solo con il decoder Sky. Se l'attuale monopolista del satellite rispettasse le regole, concederebbe a tutti i fabbricanti di decoder la licenza per l'uso del sistema di decodifica NDS Videoguard, del quale è proprietario. In questo modo ci sarebbero sul mercato apparecchi in grado di ricevere qualsiasi programma satellitare. 

Il fatto è che il magnate australiano prima si è fatto beffe delle regole nazionali e comunitarie, poi ha ottenuto l'abrogazione delle norme sul decoder unico e oggi insiste nel violare l'impegno preso nel 2003, di concedere "alle terze parti interessate, a prezzi equi e non discriminatori, le licenze per il suo sistema di accesso condizionato". Questa è una delle condizioni poste dalla Commissione europea con la decisione del 2 aprile 2003 per dare l'assenso alla fusione Newscorp/Telepiù (paragrafo 225, lettera i). Ma nessuno è riuscito a ottenere il rispetto di questo impegno (una ricostruzione della vicenda, con il vergognoso comportamento delle autorità europee e nazionali, è nel capitolo 7 de L'anomalia. Si vedano anche i numerosi articoli su Sky nell'indice di questa sezione).

Gli impegni presi nel 2003 dalla società di Murdoch comprendono anche quello di cercare "di stipulare accordi di simulcrypt in Italia non appena ciò risulti ragionevolmente possibile e, in ogni caso, entro 9 mesi dalla richiesta scritta di una terza parte interessata" (paragrafo 225,lettera j).
In parole povere, questo potrebbe significare che Newscorp dovrebbe concedere a Tivù la possibilità di criptare le sue trasmissioni anche con la codifica NDS Videoguard, in modo che possano essere ricevute anche con i decoder Sky. E che potrebbe cifrare le sue trasmissioni anche con la codifica Nagravision, adottata da Tivù.
Ma se Tivù Sat ottenesse il rispetto del punto i), i suoi decoder potrebbero ricevere i canali criptati da Sky. In ultima analisi, un accordo reciproco di "symulcript" potrebbe giovare alle due piattaforme e al mercato.

Alla conferenza stampa di presentazione di Tivù Sat, lo scorso 22 luglio, ho chiesto se c'era l'intenzione di adire di nuovo le autorità competenti per costringere Sky al rispetto delle regole. Giancarlo Leone, vicedirettore generale della Rai, ha risposto "il problema non ci riguarda". Formalmente è vero, perché i soggetti legittimati ad agire sono i fabbricanti di ricevitori. Ma è chiaro che il problema coinvolge in misura molto pesante i fornitori di contenuti, perché se il pubblico non compera i decoder, i contenuti non li vede nessuno.

Il problema è serio. Bisogna convincere gli italiani che hanno il decoder Sky (dovrebbero essere intorno ai sei milioni) ad acquistare un secondo decoder satellitare. E quelli che ancora non lo hanno, a comperare quello di Tivù invece o prima di quello di Sky. E coloro che stanno subendo il passaggio al digitale terrestre devono essere indotti a comperare un "combo", cioè un apparecchio in grado di ricevere il digitale dalla terra e dal cielo. Questi decoder tuttofare in versione Tivù non saranno nei negozi, si dice, prima della fine dell'anno. Ma ciò significa perdere gli utenti interessati dagli switch-over programmati per l'autunno. Non saranno in tanti a voler comperare un secondo o un terzo apparecchio poco tempo dopo l'acquisto del set-top-box per il digitale terrestre.

Il problema che si pone alle famiglie italiane è grave. Tre set-top-box non costituiscono solo una spesa e un groviglio di cavi. Due ricevitori satellitari collegati alla stessa antenna in molti casi non funzionano bene e occorre modificare l'impianto.

Se i nuovi utenti digitali acquisteranno solo i ricevitori terrestri, la diffusione della piattaforma satellitare si avrà all'inizio solo nelle zone d'ombra. Con la conseguenza che altri operatori potrebbero trovare meno attraente "salire" sulla piattaforma stessa.
Di conseguenza i vantaggi per il sistema televisivo italiano, la reale "libertà di visione" e l'allargamento del mercato pubblicitario, potrebbero arrivare tra molto tempo o non arrivare affatto.

E qui incontriamo il problema forse più spinoso di tutta l'operazione Tivù Sat. La necessità di una piattaforma satellitare "free" è evidente già da molti anni, per l'Italia almeno da quando è nata Sky. Nel Regno Unito e in Francia sono già attive piattaforme satellitari gratuite; in Spagna si stanno attrezzando.
Da noi si pone con forza il problema del duopolio, che sembra (ahinoi!) destinato a durare a lungo. Ma che deve fare i conti con la crescita di Sky, ormai decisa a fare concorrenza alla TV "generalista", sottraendole personaggi di spicco, utenti e risorse pubblicitarie. Poi c'è la concorrenza, che potrebbe diventare guerra, tra Mediaset e Sky nel campo della pay-tv. In mezzo la Rai, che in una situazione del genere potrebbe perdere risorse più degli altri.

Tivù Sat, se le premesse (e le promesse) saranno rispettate, potrebbe essere lo strumento per rimuovere l'annoso blocco del sistema televisivo italiano. Per questo non sembrano utili gli attacchi che in questi giorni vengono lanciati contro la nuova piattaforma.
E' stato scritto, per esempio, che Tivù Sat, anche senza esercitare alcuna attività editoriale, influenzerà le scelte degli utenti attraverso la guida elettronica dei programmi (EPG). Il fatto è che la EPG viene predisposta dagli stessi broadcaster e la piattaforma si limita a renderla disponibile agli spettatori. Sky fa peggio: la sua piattaforma è bloccata, non consente di vedere tutti i canali in chiaro né di modificare l'ordine in cui appaiono nella EPG.

E' stata avanzata un'altra obiezione: la nascita di Tivù Sat costituirebbe un'operazione di concentrazione, vietata dalla normativa antitrust europea e nazionale. La questione deve essere considerata con attenzione.
Va premesso che le concentrazioni non sono di per sé vietate. Sono dichiarate incompatibili con il mercato "le operazioni di concentrazione che creano o rafforzano una posizione dominante, da cui risulti che una concorrenza effettiva sia ostacolata in modo significativo nel mercato comune o in una parte sostanziale di esso", come recita il regolamento europeo 4064/89. Spesso le concentrazioni sono solo sottoposte a condizioni limitative. E'il caso della fusione Newscorp/Telepiù in Sky, che ha comportato, fra l'altro, il divieto per Sky di trasmettere su frequenze terrestri fino al 2012. Quelli che sono vietati, e dovrebbero essere sanzionati tempestivamente, sono gli abusi degli operatori in posizione dominante.

Tuttavia, anche ammettendo che la jont venture tra Mediaset, Rai e La7 costituisca un'operazione di concentrazione, sembra evidente che essa non comporta un ostacolo alla concorrenza. Anzi, rompe il monopolio di Sky sulle trasmissioni via satellite. Quindi apre il mercato, anche perché offre l'accesso alla piattaforma a tutti i soggetti interessati, che mantengono la propria autonomia editoriale. E, secondo la formula europea, "a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie". Quindi non ci dovrebbe essere alcun problema di trust.

Resta però una questione "di sistema". La ritrasmissione via satellite serve a coprire le zone che non possono essere raggiunte dal digitale terrestre. Ma non solo: il satellite serve tutte le zone, copre virtualmente il 100 per cento del territorio. E allora a che serve il digitale terrestre, enormemente più complesso e costoso? Se avessero prevalso il buon senso e le regole del mercato, oggi con un solo apparecchio si vedrebbero tutte le televisioni del mondo.
Perché a livello europeo si è scelto di puntare sul digitale terrestre, invece che direttamente sul satellite, per la naturale evoluzione del sistema televisivo? 

La risposta non è facile. Ma se si considera che in Europa (e in Italia in particolare) i sistemi televisivi sono per tradizione sotto il controllo dei governi, il passaggio al digitale terrestre appare come il mezzo per mantenere questo controllo, attraverso i meccanismi delle autorizzazioni e della assegnazione delle frequenze. La televisione via satellite è incontrollabile, la diffusione a vastissimo raggio costa poco.
Se le cose stanno così, la decisione di costituire una piattaforma satellitare "libera" da parte delle nostre televisioni, tutte direttamente o indirettamente controllate dal governo, appare incomprensibile. A meno che l'obiettivo di bloccare la crescita di Sky a danno di Mediaset non sia così importante da far passare tutto il resto in secondo piano.

Dobbiamo ricordare che la televisione continua a essere il mezzo di informazione più influente nella nostra società, mentre i nuovi media - la "post-televisione" - sono ancora ai nastri di partenza.

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