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Televisione

L'Antitrust avvia un'istruttoria sui problemi di ricezione

Il digitale terrestre è un dossier sempre aperto

Sempre più grave il problema della ricezione dei canali del servizio pubblico nelle aree digitalizzate. Le prossime tappe, con l'assegnazione di nuovi multiplex, rischiano di aggravare la situazione. A tutto vantaggio di Mediaset.

21.06.11

Sono passati quasi trent'anni da quando, nel corso di una perquisizione all'aeroporto di Fiumicino, fu trovato il "Piano di rinascita democratica" della P2, nascosto nel doppiofondo di una valigia della figlia di Licio Gelli. "Dissolvere la Rai" era uno dei punti essenziali del piano. La missione non è ancora compiuta, ma ormai è a buon punto (vedi, fra l'altro, 1982-2010, l'ordine non cambia: dissolvere la Rai e Annozero è morto. E anche la Rai non sta molto bene).

La lenta operazione non passa solo per le censure e l'epurazione dei personaggi non allineati, ma anche per la scomparsa dei canali del servizio pubblico in molte aree passate al digitale terrestre. I problemi sono incominciati più di due anni fa, con lo switch-off della Sardegna. E sono apparsi in tutta la loro gravità al momento del passaggio in Lazio e Campania, alla fine del 2009.
Ora, finalmente, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato apre un'istruttoria, in seguito alla denuncia di Federconsumatori e alle segnalazioni di molti utenti.

Il comunicato stampa dell'Autorità va letto con attenzione. Parla di "informazioni inesistenti o addirittura ingannevoli sulla copertura del segnale televisivo sia analogico che digitale... in alcune zone del Paese, in particolare in Toscana, i consumatori non riescono a vedere bene i canali Rai". Sotto accusa è dunque la società del servizio pubblico, "che con i suoi comportamenti, li avrebbe indotti ad acquistare apparecchiature come antenne o decoder nuovi nella speranza di ottenere una migliore qualità del segnale". Ancora: "A queste somme vanno aggiunti, poi, gli oneri derivanti dalla scelta di sistemi televisivi alternativi come il sistema satellitare".

Ma è veramente colpa della Rai? Aspettando le conclusioni dell'Antitrust si può ricostruire facilmente la situazione.
In partenza ci sono due punti chiari: il primo è che l'Italia è un territorio in prevalenza montuoso, quindi con molte zone difficili da servire con il segnale terrestre, che viaggia in linea retta e si ferma davanti alle montagne; il secondo è il caos delle frequenze, frutto dell'occupazione selvaggia compiuta dagli anni '70 del secolo scorso, in totale assenza di regole.

Il passaggio al digitale avrebbe potuto essere l'occasione per mettere ordine. Invece è stato fatto sulla base del disastroso status quo, utilizzando anche le frequenze poco efficienti in VHF (quelle di Rai 1 analogica) e quelle dei canali da 61 a 69, destinati ad essere tolti ai servizi televisivi e assegnate alle telecomunicazioni in mobilità.
Inoltre l'assegnazione è stata fatta secondo il criterio "un multiplex digitale per un canale analogico", quando su un multiplex si possono trasmettere almeno quattro canali digitali.

Se invece si fosse fatto uno "scambio" uno a uno, ci sarebbe stata una quantità di canali liberi, che sono un bene pubblico, da assegnare in modo più efficace.
Il risultato è quello che si vede (o non si vede...). Telespettatori furiosi. In molte zone digitalizzate si ricevono centinaia di canali inutili, perché trasmettono gli stessi programmi o sono occupati da contenuti fittizi. Ma non si ricevono i canali del servizio pubblico (vedi Switch-on. E nel Lazio il caos e i canali fantasma).
D'altra parte sembra che qualche area ancora analogica abbia "perso" i programmi Rai, a causa di interferenze dalle vicine regioni digitalizzate.

Alcune cose dovrebbero andare a posto dopo il completamento dello switch-off, ora anticipato alla fine del primo semestre 2012. Ma, a meno di una decisa inversione di rotta, i problemi del servizio pubblico non saranno risolti. Anzi, sembrano destinati ad aggravarsi con le proddime tappe della digitalizzazione. Lo spiega bene Carlo Rognoni, ex consigliere di amministrazione della società di viale Mazzini, nell'articolo pubblicato sabato 18 scorso su Il Riformista. Il titolo parla chiaro: "Romani scippa le frequenze alla Rai".

Infatti il ministro Paolo Romani ha in mano la gara per l'assegnazione dei cinque nuovi multiplex del "dividendo digitale", due dei quali sono già assegnati a Rai e Mediaset. E' lui che nomina i giudici del cosiddetto beauty contest ("concorso di bellezza"? mah...) che dovrà assegnare le frequenze. E che saranno costretti, dall'Europa e dal Consiglio di Stato, a valutare anche la "bellezza" di Sky, che il ministro ha tentato invano di escludere dalla gara.

Romani è il primo anello della "catena di comando e controllo" del sistema televisivo. Sistema che fa capo al signore delle televisioni, proprietario di Mediaset nonché Presidente del consiglio dei ministri. Si chiama "conflitto di interessi", ma nessuno se ne preoccupa.
Romani si troverà di fronte a un'altra "grana": la resistenza delle emittenti che oggi occupano i canali da 61 a 69 e che non sono disposte a sloggiare facilmente. L'effetto potrebbe essere quello di un ritardo nella stesura della mappa definitiva delle frequenze terrestri.

L'Antitrust mette sotto accusa la Rai. Rognoni, nell'articolo chiede se "non sarebbe il caso che il CDA si facesse carico di una reazione orgogliosa della Rai evitando che la bulimia di Mediaset e del cavalier Berlusconi oltre a far perdere credibilità e immagine al servizio pubblico lo depauperasse del patrimonio delle frequenze".

Reazione orgogliosa contro chi? Contro gli anelli superiori della catena? Perché è bene ricordare le decisioni che hanno determinato la situazione di oggi sono state prese, nella forma e nella sostanza, dal Ministero e dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

E allo stato dei fatti una "reazioni orgogliosa" sembra del tutto improbabile.

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