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Professione giornalista

Giornalisti nella Costituzione e accesso soltanto via università

29.07.02

Comunicato stampa dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia


Milano, 24 luglio 2002. Ieri il presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha inviato un messaggio alle Camere dal tono inequivocabile: "Non c'è democrazia senza pluralismo e imparzialità dell'informazione". Ha aggiunto Ciampi: "La Commissione di Vigilanza Rai dovrebbe estendere i suoi poteri di controllo all'intero circuito mediatico, pubblico e privato allo scopo di rendere uniforme e omogeneo il principio della par condicio". Il messaggio del Quirinale riprende la proposta che in aprile Franco Abruzzo ha trasmesso al Parlamento e che è stata raccolta da sei senatori dello Sdi (guidati da Giovanni Crema) e trasformata nel disegno di legge n. 1390/2002 assegnato il 5 giugno scorso alla VIII Commissione "Lavori pubblici e comunicazioni" di Palazzo Madama.

Franco Abruzzo ora rilancia: "Il pluralismo e l'imparzialità dell'informazione si possono difendere garantendo ai giornalisti uno status costituzionale al pari dei magistrati e garantendo l'accesso nella professione soltanto via Università. Nella Costituzione va scritto a chiare lettere che i giornalisti sono soggetti soltanto alla deontologia professionale fissata per legge e che la legge regola l'autonomia, l'indipendenza e la formazione di chi esercita la professione giornalistica. Questo assunto richiama gli articoli 101, 102 e 104 della Costituzione dedicati all'autonomia e all'indipendenza dei magistrati. Anche i giornalisti, come i magistrati, devono essere e apparire indipendenti e corretti e soprattutto devono avere alle spalle un percorso universitario di formazione ad hoc quale la laurea biennale specialistica in giornalismo.
Oggi emittenti radiotelevisive e giornali sono saldamente controllati, salvo poche eccezioni, da persone, che hanno i loro interessi principali in altri settori dell'economia. La storia italiana del giornalismo, sin dalle origini dello Stato unitario, mostra un intreccio perverso tra industria, politica e stampa. Spesso i giornali e i giornalisti hanno combattuto e combattono battaglie per conto di terzi e qualche volta in nome di interessi tenuti sotto traccia. Bisogna, secondo me, ampliare l'articolo 21 della Costituzione, riprendendo il discorso interrotto nel 1947 durante i lavori dell'Assemblea costituente, e calare nella carta fondamentale alcuni principi affermati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e da alcune sentenze della Corte costituzionale".

"L'Italia - ha scritto Abruzzo - presenta anomalie uniche, rispetto agli altri Paesi liberal-democratici occidentali, nel campo dell'informazione radiotelevisiva. In nessun Paese, il Parlamento ha poteri diretti su tre reti televisive (controllate dal punto di vista azionario dal Ministero dell'Economia e, quindi, dal Governo) e in nessun Paese un soggetto privato, oggi con un rilevante ruolo pubblico come Presidente del Consiglio dei Ministri, controlla tre reti televisive. In effetti oggi all'uomo di Palazzo Chigi fanno capo le sei principali reti televisive del Paese. Va precisato al riguardo che i cinque membri del Consiglio di amministrazione della società, la Rai, che gestisce le tre reti pubbliche, vengono nominati dai due Presidenti del Senato e della Camera, eletti dalla maggioranza parlamentare che sorregge il Presidente del Consiglio dei ministri e il suo Governo. Il disegno di legge sul conflitto di interessi, attualmente all'esame del Parlamento, non è in grado di correggere questo groviglio di poteri, competenze, interessi in modo tale da assicurare i valori tutelati dall'articolo 1 (comma II) della legge n. 223/1990 sul sistema radiotelevisivo pubblico e privato ("il pluralismo, l'obiettività, la completezza e l'imparzialità dell'informazione")".

Il disegno di legge n. 1390/2002 si richiama, infatti, come ha suggerito Abruzzo, ai principi espressi nell'articolo 1 della legge 6 agosto 1990 n. 223, laddove si afferma che "il pluralismo, l'obiettività, la completezza e l'imparzialità dell'informazione, l'apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose, nel rispetto della libertà e dei diritti garantiti dalla Costituzione, rappresentano i principi fondamentali del sistema radiotelevisivo, che si realizza con il concorso di soggetti pubblici e privati", in considerazione del "carattere di preminente interesse generale" che si riconosce alla "diffusione di programmi radiofonici o televisivi, realizzata con qualsiasi mezzo tecnico".

Per rendere effettivi e operanti detti principi appare importante, e urgente, provvedere all'estensione dei compiti della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi televisivi, all'istituzione di collegi giudicanti in materia di parità di accesso ai mezzi radiotelevisivi di informazione, a una puntuale disciplina delle rettifiche e, più in generale, delle dichiarazioni dei soggetti che si ritengano lesi da trasmissioni televisive, da mettere obbligatoriamente e sollecitamente in onda, e, infine, alla rigorosa disciplina della riconoscibilità della pubblicità nelle trasmissioni.

L'articolo 1 estende i compiti della Commissione parlamentare nei confronti del sistema radiotelevisivo realizzato da soggetti privati. L'articolo 2, riecheggiando il disposto dell'articolo 4 della legge 14 aprile 1975, n. 103, recante nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva, indica i compiti che la Commissione parlamentare assume riguardo al sistema radiotelevisivo privato, facendo, altresì, esplicito riferimento al controllo sui messaggi pubblicitari, come puntualmente definito nel successivo articolo 4 del presente disegno di legge.

Gli articoli da 3 a 6 istituiscono il Collegio nazionale e i Collegi regionali e delle Province di Trento e Bolzano chiamati a giudicare in ordine alla parità di accesso ai mezzi radiotelevisivi di informazione rispettivamente nazionali e locali e ne stabiliscono la composizione e le procedure di intervento. Si mettono in essere agili autorità aventi poteri immediati di intervento per garantire il pieno rispetto delle disposizioni della legge 22 febbraio 2000, n. 28, sull'accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali.

L'articolo 3 indica in un magistrato, designato dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, un membro dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, designato dal Presidente dell'Autorità medesima, e il Presidente dell'Ordine nazionale dei Giornalisti, che può designare un giornalista in sua vece, i componenti del Collegio nazionale e ne affida le funzioni di presidente al magistrato.

L'articolo 4, che si riferisce ai singoli Collegi locali, affida la presidenza del nuovo organo a un magistrato, individuato nel Presidente del Tribunale civile del capoluogo regionale o delle Province di Trento e Bolzano, e indica, quali membri, il Presidente del Comitato regionale per le comunicazioni e il Presidente dell'Ordine regionale dei Giornalisti.

Gli articolo 5 e 6 attribuiscono i poteri, anche sanzionatori, previsti dall'articolo 10 della legge 28/2000, rispettivamente ai Collegi nazionale e locali, e stabiliscono, per rinvio, le procedure attraverso le quali si svolge la loro attività e gli eventuali ricorsi giurisdizionali, la cui decisione, nel caso degli interventi nei confronti di emittenti locali, non è attribuita, salvo per il Lazio, alla competenza del Tar di questa Regione, ma a ciascun organo di giustizia amministrativa di primo grado competente per territorio.

L'articolo 7 attribuisce al Ministro delle comunicazioni il compito di definire, mediante regolamento, le modalità di effettuazione degli accertamenti e dei controlli di cui agli articoli precedenti.

L'articolo 8 affronta il delicato tema del diritto di rettifica, alla luce del crescente numero di querele, per diffamazione, nei confronti di giornalisti, conferendo ai Presidenti dei consigli, nazionale e locali, dell'Ordine dei Giornalisti poteri tipici delle Autorità amministrative indipendenti. Stabilito l'obbligo, per il direttore o, comunque, il responsabile della rete televisiva, di mandare in onda le rettifiche e altre dichiarazioni di soggetti - persone fisiche o giuridiche o, comunque, soggetti disciplinati dal codice civile - che si ritengano lesi da trasmissioni di quella rete, ad eccezione del caso che le dichiarazioni possano configurare un reato, l'articolo prevede che, in caso di rifiuto o di rettifica inadeguata o insufficiente, possa ricorrersi al Presidente del consiglio nazionale dell'Ordine dei Giornalisti o, nel caso di reti televisive locali, al Presidente del consiglio regionale o interregionale dell'Ordine; il Presidente adito, convocate e sentite le parti, dispone con decreto, l'adozione del provvedimento di rettifica; laddove non si dia esecuzione alle disposizioni del decreto sono previste sanzioni pecuniarie - irrogate dall'autore del decreto medesimo, sentito il rispettivo consiglio dell'Ordine - oltre alle sanzioni disciplinari; l'efficacia esecutiva del decreto non è, in ogni caso, revocabile fino ad eventuale pronuncia dell'Autorità giudiziaria ordinaria.

L'articolo 9, infine, disciplina dettagliatamente gli strumenti e i rimedi per la riconoscibilità della pubblicità, attribuendo al Presidente del consiglio - nazionale o locale - dell'Ordine dei Giornalisti l'adozione degli opportuni provvedimenti sanzionatori - di cui può essere disposta la pubblicazione - a seguito di procedimento richiesto da soggetti dell'utenza televisiva.

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