Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013

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Messaggio alle Camere  del Presidente della Repubblica
a norma dell'articolo 74 della Costituzione

Trasmesso alla Presidenza il 15 dicembre 2003

Roma, 15 dicembre 2003

Signori Parlamentari,
in data 5 dicembre 2003, mi è stata inviata per la promulgazione la legge: «Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI - Radiotelevisione italiana Spa, nonché delega al Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione», approvata dalla Camera dei deputati il 3 aprile 2003, modificata dal Senato il 22 luglio 2003, nuovamente modificata dalla Camera dei deputati il 2 ottobre 2003 e approvata in via definitiva dal Senato il 2 dicembre 2003.
Il relativo disegno di legge era stato presentato dal Governo alla Camera dei deputati il 25 settembre 2002. Successivamente, il 20 novembre 2002, era sopraggiunta la sentenza della Corte costituzionale n. 466, che dichiarava «la illegittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione della Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso articolo 3, devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo».
La data del 31 dicembre 2003 era già stata indicata, come termine per la cessazione del regime transitorio di cui all'articolo 3, comma 7, della legge n. 249 del 1997, dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (deliberazione n. 346 del 7 agosto 2001).
Detto articolo 3 rinvia ai limiti fissati dal comma 6 dell'articolo 2 della stessa legge n. 249, là dove si stabilisce che ad uno stesso soggetto o a soggetti controllati o collegati «non possono essere rilasciate concessioni né autorizzazioni che consentano di irradiare più del venti per cento rispettivamente delle reti televisive o radiofoniche analogiche e dei programmi televisivi o radiofonici numerici, in ambito nazionale, trasmessi su frequenze terrestri, sulla base del piano delle frequenze».
La sentenza della Corte n. 466 del 20 novembre 2002 muove dalla considerazione della situazione di fatto allora esistente che, a suo giudizio, «non garantisce... l'attuazione del principio del pluralismo informativo esterno, che rappresenta uno degli "imperativi" ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in materia».
Nell'ultima delle considerazioni in diritto, la Corte precisa che «la presente decisione, concernente le trasmissioni televisive in ambito nazionale su frequenze terrestri analogiche, non pregiudica il diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili».
Dalla sentenza - i cui contenuti essenziali sono stati richiamati dai Presidenti della Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nelle audizioni rese alle Commissioni riunite VII e IX della Camera dei deputati il 10 settembre 2003 - discende, pertanto, che, per poter considerare maturate le condizioni del diverso futuro assetto derivante dall'espansione della tecnica di trasmissione digitale terrestre e, quindi, per poter giudicare superabile il limite temporale fissato nel dispositivo, deve necessariamente ricorrere la condizione che sia intervenuto un effettivo arricchimento del pluralismo derivante da tale espansione.
La legge a me inviata si fa carico di questo problema. Le norme che disciplinano l'aspetto sopra considerato sono contenute nell'articolo 25, il cui comma 1 stabilisce che, entro il 31 dicembre 2003, dovranno essere rese attive reti televisive digitali terrestri, ponendo, in particolare, a carico della società concessionaria del servizio pubblico (comma 2) l'obbligo di predisporre impianti (blocchi di diffusione) che consentano il raggiungimento del cinquanta per cento della popolazione entro il 1o gennaio 2004 e del settanta per cento entro il 1o gennaio 2005. L'articolo 25, comma 3, stabilisce inoltre che «l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, entro i dodici mesi successivi al 31 dicembre 2003, svolge un esame della complessiva offerta dei programmi televisivi digitali terrestri allo scopo di accertare: a) la quota di popolazione raggiunta dalle nuove reti digitali terrestri; b) la presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili; c) l'effettiva offerta al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche».
Ciò premesso, ritengo di dover formulare alcune osservazioni in merito alla compatibilità di talune disposizioni della legge in esame con la sentenza n. 466 del 2002 della Corte costituzionale.
Una prima osservazione riguarda il termine massimo assegnato all'Autorità per effettuare detto esame: «entro i dodici mesi successivi al 31 dicembre 2003» (articolo 25, comma 3). Questo lasso di tempo - molto ampio rispetto alle presumibili occorrenze della verifica - si traduce, di fatto, in una proroga del termine finale indicato dalla Corte costituzionale.
Una seconda osservazione concerne i poteri riconosciuti alla Autorità: questa, entro i trenta giorni successivi al completamento dell'accertamento, invia una relazione al Governo e alle competenti Commissioni parlamentari, «nella quale verifica se sia intervenuto un effettivo ampliamento delle offerte disponibili e del pluralismo nel settore televisivo ed eventualmente formula proposte di interventi diretti a favorire l'ulteriore incremento dell'offerta di programmi televisivi digitali terrestri e dell'accesso ai medesimi» (articolo 25, comma 3). Ne deriva che, se l'Autorità dovesse accertare, entro il termine assegnatole, che le suesposte condizioni (raggiungimento della prestabilita quota di popolazione da parte delle nuove reti digitali terrestri; presenza sul mercato di decoder a prezzi accessibili; effettiva offerta al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da quelli diffusi dalle reti analogiche) non si sono verificate, non si avrebbe alcuna conseguenza certa. La legge, infatti, non fornisce indicazioni in ordine al tipo e agli effetti dei provvedimenti che dovrebbero seguire all'eventuale esito negativo dell'accertamento.
Si consideri, inoltre, che il paragrafo 11, penultimo capoverso, delle considerazioni in diritto della sentenza n. 466, recita: «D'altro canto, la data del 31 dicembre 2003 offre margini temporali all'intervento del legislatore per determinare le modalità della definitiva cessazione del regime transitorio di cui al comma 7 dell'articolo 3 della legge n. 249 del 1997». Ne consegue che il 1o gennaio 2004 può essere considerato come il dies a quo non di un nuovo regime transitorio, ma dell'attuazione delle predette modalità di cessazione del regime medesimo, che devono essere determinate dal Parlamento entro il 31 dicembre 2003. Si rende, inoltre, necessario indicare il dies ad quem e, cioè, il termine di tale fase di attuazione.
Tutto ciò detto in relazione alla compatibilità delle succitate disposizioni della legge in esame con la sentenza n. 466 del 20 novembre 2002, non posso esimermi dal richiamare l'attenzione del Parlamento su altre parti della legge che - per quanto attiene al rispetto del pluralismo dell'informazione - appaiono non in linea con la giurisprudenza della Corte costituzionale.
Si consideri, a tale proposito, che la sentenza della Corte costituzionale n. 826 del 1988 poneva come un imperativo la necessità di garantire «il massimo di pluralismo esterno, onde soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino all'informazione». E ancora, nella sentenza n. 420 del 1994, la stessa Corte sottolineava l'indispensabilità di «un'idonea disciplina che prevenga la formazione di posizioni dominanti».
Nell'ambito dei princìpi fissati dalla richiamata giurisprudenza della Corte costituzionale si è mosso il messaggio da me inviato alle Camere il 23 luglio 2002.
Per quanto riguarda la concentrazione dei mezzi finanziari, il sistema integrato delle comunicazioni (SIC) - assunto dalla legge in esame come base di riferimento per il calcolo dei ricavi dei singoli operatori di comunicazione - potrebbe consentire, a causa della sua dimensione, a chi ne detenga il 20 per cento (articolo 15, comma 2, della legge) di disporre di strumenti di comunicazione in misura tale da dar luogo alla formazione di posizioni dominanti.
Quanto al problema della raccolta pubblicitaria, si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 1985 che, riprendendo princìpi affermati in precedenti decisioni, richiede che sia evitato il pericolo «che la radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa oggetto di energica tutela».
Si rende, infine, indispensabile espungere dal testo della legge il comma 14 dell'articolo 23, che rende applicabili alla realizzazione di reti digitali terrestri le disposizioni del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, del quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale con la sentenza n. 303 del 25 settembre-1o ottobre 2003. Per la stessa ragione, va soppresso il riferimento al predetto decreto legislativo dichiarato incostituzionale, contenuto nell'articolo 5, comma 1, lettera l), e nell'articolo 24, comma 3.
Per i motivi innanzi illustrati, chiedo, alle Camere - a norma dell'articolo 74, primo comma, della Costituzione - una nuova deliberazione in ordine alla legge a me trasmessa il 5 dicembre 2003.

CIAMPI

Gasparri, Ministro delle comunicazioni

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